Camino Skies • Il film
Un gruppo di viaggiatori, tutti australiani e neozelandesi, viaggiano a piedi per 35 giorni tra Francia e Spagna lungo il cammino di Santiago. Cammino che si profila, attraverso i racconti dei vari viaggiatori, come un’occasione per voltare una dolorosa pagina della loro vita o per tentare di elaborare un lutto. C’è chi cerca di superare una duplice perdita familiare, chi cammina in ricordo della figlia scomparsa in giovanissima età, e perfino chi, a discapito dell’artrosi e della vecchiaia, cerca di dimostrare la propria indipendenza.
Un resoconto spirituale di quattro individualità straziate dalla vita, che lungo il cammino di Santiago cercano di rimettere insieme i pezzi sparsi delle proprie vite.
Debutto alla regia per la coppia Fergus Gray-Noel Smyth, che in Camino Skies cercano di costruire un diario laico ed emozionante che racconti la storia di un gruppo di viaggiatori lungo il cammino di Santiago, uniti da un comune bisogno di rinnovamento spirituale. Questi bellissimi propositi rimangono però solo nelle intenzioni, per vari motivi.
Durante il cammino la regia “pedina” i personaggi, li vediamo impegnati in momenti di socialità negli ostelli, prostrati nei santuari e ancora, immortalati in gravi momenti di crisi per la fatica che l’impresa comporta. In tutto ciò abbiamo modo di conoscere le loro storie, mentre cercano di comprendersi e relazionarsi, secondo il preciso intento registico di trasmettere un senso di fratellanza e di unione nelle difficoltà. Al contrario dal film traspare tutta l’irritabilità e l’insofferenza di cinque persone ferite, abbattute e del tutto incompatibili tra loro, che non bramano altro che qualche momento di solitudine per poter elaborare in silenzio i propri traumi.
Al di là di questo rocambolesco tentativo di mettere in piedi un racconto corale, che si rivela in ultima analisi inefficace a causa del mal assortimento del gruppo, c’è un importante appunto da fare a livello registico e narrativo. Si ha, con il procedere del documentario, la netta sensazione che il taglio registico sia un po’ troppo riservato e contenuto, mi spiego meglio: anche quando i viaggiatori si aprono riguardo alla loro vita e ai propri traumi, non si arriva mai alle ragioni recondite del loro malessere, l’accesso al cuore delle loro individualità ci è del tutto impedito.